Martedì 12 marzo 2024
ore 21.00
Anna Della Rosa in
Cleopatràs
Unplugged
Di
Giovanni Testori
Uno spettacolo di
Valter Malosti
Con
Anna Della Rosa
Progetto sonoro
Gup Alcaro
«E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’ io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;»
Dante, Inferno, Canto V, vv. 46/49
I Tre Lai (Cleopatràs, Erodiàs, Mater Strangosciàs) sono il testamento ultimo di Giovanni Testori (1923-1993) e il vertice della straordinaria stagione creativa dello scrittore. Queste eroine a cavallo di un trapasso epocale, tra loro contemporanee e lontanissime, dalla morte riemergono per raccontarsi e piangere sul corpo dell’amato e raccontare a noi tutti il mistero per eccellenza, quello dell’Amore.
Per Cleopatràs che piange il suo Antonio, il suo Tugnàs, Testori reinventa l’Egitto romano di Shakespeare inserendolo nella topografia della sua amata Valassina (nel Triangolo Lariano), in un fuoco di fila di invenzioni di lingua, sorvegliate da una grande poesia memore della Commedia di Dante e della sua «Cleopatràs lussurïosa », consegnandoci una figura che acquista una dimensione terrena e sensuale, sempre sull’orlo di una straziante e perturbante ironia. Assistiamo all’ultima ora di vita di una grande regina, gran signora, menagèr, star, soubrette al tramonto di una vita grandiosa, a cui sfilano davanti agli occhi le immagini e i suoni salienti della sua vita piena di eros, di amore, di soldi, di passione e anche di tenerezza. Dopo aver sfondato i limiti della vita con il suo amatissimo Antonio, Cleopatràs varca il limite ultimo della vita e raggiunge il suo amore nell’aldilà, sperando che ci sia un aldilà e che non finisca tutto in «merdità». C’è un prezioso documento che Piero Nuti ha custodito gelosamente nell’archivio suo e di Adriana Innocenti: una emozionante lettura fatta in ospedale al San Raffaele da Giovanni Testori dei suoi Tre Lai. In quella registrazione non si riascolta solo la voce di Testori ma qualcosa in più, qualcosa di più intimo: uno spiraglio della sua grande anima. Traspare anche la cura estrema nel far sentire il ritmo del verso, gli a capo, la concretezza. Come nei versi di Shakespeare infatti non c’è nulla di astratto. Tutto passa attraverso il corpo, tutto è concreto, e soprattutto il senso e i significati passano non solo dalla comprensione, ardua a volte, ma dalla musica delle parole e dal ritmo che le sospinge, ed è come se il fiato stesso di Testori le sospingesse a farsi corpo dalla parola scritta.
(Valter Malosti)