Dal 21 al 23 marzo 2025

venerdì 21 e sabato 22 ore 21.00, domenica 23 ore 16.00

Marco Baliani presenta

Arlecchino?

Liberamente tratto da

Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni


Scritto e diretto da

Marco Baliani


Con

Andrea Pennacchi

Marco Artrusi

Maria Celeste Carobene

Miguel Gobbo Diaz

Margherita Mannino

Valerio Mazzucato

Anna Tringali


Musiche eseguite dal vivo da

Matteo Nicolin

Riccardo Nicolin


Scene e costumi

Carlo Sala


Luci

Luca Barbati


Aiuto Regista

Maria Celeste Carobene


Produzione

Gli Ipocriti Melina Balsamo


In coproduzione con

Teatro Stabile del Veneto Teatro Nazionale

In ogni epoca bisogna lottare per

strappare la tradizione al conformismo

che cerca di sopraffarla.

Walter Benjamin


L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della commedia dell’arte.

Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne azzecca una, è goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati, con misere paghe, dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati.

Eppure tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati, tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti, stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la tradizione dopo averla intelligentemente tradita.

Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino mai visto che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque, avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultrapostmoderno che inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro.

Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse leggere eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano stilettate e spifferi lancinanti che parlano dei nostri giornalieri disastri di paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare quotidiano delle nostre esistenze.