Dal 23 al 26 novembre
Venerdì 24 alle ore 21
Sabato 25 alle ore 21
Domenica 26 ore 16
di
Jean Genet
traduzione
Gioia Costa
con
Anna Bonaiuto
Manuela Mandracchia
Vanessa Gravina
regia
Giovanni Anfuso
scene
Alessandro Chiti
costumi
Lucia Mariani
musiche
Paolo Daniele
disegno luci
Umile Vainieri
produzione
Teatro e Società
in coproduzione con
Teatro Stabile Biondo
di Palermo
Uno straordinario esempio di continuo ribaltamento fra essere e apparire, fra immaginario e realtà.
(Jean-Paul Sartre)
Con queste parole Jean-Paul Sartre descriveva Le serve (Les bonnes), una delle opere più famose di Jean Genet che, con il suo teatro, ha indubbiamente rivoluzionato la forma stessa della tragedia moderna.
Scritto nel 1947 ed ispirato ad un evento di cronaca che impressionò enormemente l’opinione pubblica francese, Le serve è considerato uno dei suoi capolavori, una perfetta macchina teatrale in cui il gioco del teatro nel teatro è svelato per mettere a nudo, in modo straordinario, la menzogna della scena, con una struttura che scava nel profondo.
Claire (Manuela Mandracchia) e Solange (Anna Bonaiuto), due sorelle, serve sfruttate e frustrate, vivono un rapporto di amore-odio con la loro padrona, la sontuosa Madame (Vanessa Gravina) che incarna tutti gli ideali a loro negati: eleganza, bellezza, successo.
Ogni sera, quando la padrona non c’è, le due serve si ritrovano ad allestire un ossessivo teatrino, una doppia vita in cui, come bimbe perverse, giocano “a fare Madame”. A turno, vestono i suoi abiti, la imitano e, alla fine del rito, la uccidono.
Ma ben presto finzione e realtà, nelle loro menti, si sovrappongono.
Claire e Solange, vittime di una ingordigia metafisica nei confronti di Madame, simbolo di un potere assoluto da abbattere, disgustoso ed affascinante al contempo incarnano alla perfezione un dualismo perpetuo, prigioniere nei ruoli speculari della “vittima” e del “carnefice”, facce di una stessa medaglia che coesistono in ciascuno di noi e che, spesso, si sovrappongono fino a confondersi.
«Questa pièce è una novella, cioè una forma di narrazione allegorica» diceva Genet del suo testo più famoso. Una narrazione allegorica, noi aggiungiamo, quindi una favola, dall’andamento onirico e visionario […] forse una iper-favola, cioè un grande rituale barocco che mette in scena l’eterna dialettica del padrone e dello schiavo, la reciproca dipendenza dei due termini di una relazione di dominio, il bisogno profondo della nostra natura – incomprensibile e scandaloso – di imporci e sottometterci, umiliare e subire […].
È una cerimonia, come si ripete spesso nel testo: vi si celebra la dipendenza, l’odio, l’invidia, la sensualità della violenza e l’interscambiabilità dei ruoli.
È una messa nera, un’invocazione sensuale del potere, un denudamento insieme fisico, morale e sociale.
(Giovanni Anfuso – note di regia)