Autoritratto
di e con Davide Enia
musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri
luci Paolo Casati
suono Francesco Vitaliti
si ringrazia Antonio Marras per gli abiti di scena
una co-produzione
CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Spoleto Festival dei Due Mondi
Foto © Andrea Veroni

In Autoritratto, Davide Enia scava nella memoria personale e collettiva per affrontare una delle ferite più profonde della storia italiana: la mafia.
Ma lo fa da una prospettiva inattesa e coraggiosa, interrogando prima di tutto sé stesso.
“Io non ho nessun ricordo del 23 maggio 1992. Non ricordo dove fossi, con chi, quando e dove ho appreso la notizia della bomba in autostrada che ha ucciso il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e alcuni agenti della scorta” confessa l’autore. Un vuoto che si fa origine di indagine, atto teatrale, percorso emotivo. Perché, in Sicilia, la mafia non è mai solo un fatto esterno, è un’ombra che si insinua nel quotidiano, nei legami familiari, nella lingua, nella cultura, nel modo stesso di stare al mondo.
Attraverso una riflessione lucida e lacerante, Enia mette in scena un “autoritratto” che è anche ritratto di un popolo intero. Ogni palermitano ha vissuto sulla pelle il contatto con Cosa Nostra: volti familiari trasformati in vittime, memorie intime segnate dalla violenza. A Palermo, dice, “siamo cresciuti con la nevrosi come orizzonte, con il lutto come costellazione”.
Il punto centrale dello spettacolo è la rievocazione dell’atroce omicidio di Giuseppe Di Matteo, il bambino rapito e tenuto prigioniero per 778 giorni, poi strangolato e sciolto nell’acido. Un delitto che segna uno spartiacque nella coscienza collettiva: qui la mafia cessa di essere ombra, e si manifesta come puro orrore, come male assoluto.
Autoritratto diventa allora un atto di resistenza emotiva, un’orazione civile che interroga la Storia attraverso i codici del teatro siciliano: corpo, cunto, dialetto, canto, pupi.
Con la forza della parola e della presenza scenica, Enia compone una tragedia contemporanea in cui convivono la confessione, la denuncia, la preghiera e il dubbio. È un tentativo doloroso e necessario di dare forma a ciò che sfugge, di nominare l’innominabile, di affrontare la mafia partendo da dentro, da quella parte di noi dove il silenzio ha sempre avuto troppo spazio.








