Vorrei una voce
di e con Tindaro Granata
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina
nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi
diretto da Daniela Ursino
disegno luci Luigi Biondi
costumi Aurora Damanti
regista assistente Alessandro Bandini
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione con Proxima Res
partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco
Foto © Masiar Pasquali

Uno spettacolo intimo e potente, in forma di monologo, scritto e interpretato da Tindaro Granata.Vorrei una voce nasce da un’esperienza teatrale profonda e toccante vissuta dall’autore e attore siciliano nel Teatro Piccolo Shakespeare - all’interno della Casa Circondariale di Messina. Qui Granata ha lavorato con le detenute di alta sicurezza nel progetto Il Teatro per Sognare, diretto da Daniela Ursino.
Attraverso le canzoni di Mina cantate in playback, Granata ci guida in un viaggio tra libertà, identità e desiderio di riscatto, raccontando la perdita e la riconquista del sogno.
Il sogno come forza vitale, come atto di resistenza, come urgenza emotiva. Quando non si sogna più, qualcosa dentro di noi muore.
Le detenute del laboratorio e l’artista si scoprono uguali: reclusi, in modi diversi, ma accomunati da un bisogno disperato di esprimere sé stessi e recuperare quella voce interiore capace di dare senso all’esistenza.
In scena, solo Granata. Ma insieme a lui vivono le storie di chi, nella vita, cerca riscatto. Ogni gesto, ogni playback sulle note di Mina diventa un atto liberatorio, una danza tra ricordi e desideri, tra fallimenti e nuove possibilità.
Il riferimento è l’ultimo concerto di Mina alla Bussola, il 23 agosto del 1978: uno spazio simbolico, immaginifico, dove le donne del laboratorio hanno potuto ritrovare femminilità, emozioni, corpo e libertà – in un luogo che tende ogni giorno a negare tutto questo.
Vorrei una voce è una dedica a chi ha perso fiducia, a chi ha smesso di credere nella gioia, a chi non riesce più a immaginare un futuro. È un inno struggente al potere salvifico dell’arte, al bisogno profondo di sentirsi vivi, di amare, di desiderare.
È un grido dolce e irruente: “Voglio la mia voce. Voglio tornare a sognare.”





